La tv inglese rispolvera il “giallo” del lenzuolo funebre di Cristo. Ecco la versione, con alcuni clamorosi particolari inediti, di un giornalista che seguì da vicino le prime analisi scientifiche
di Giancarlo Giojelli
Questa è la testimonianza personale di qualcosa che è accaduto vent’anni fa, di un fatto sul quale il Sabato Santo di quest’anno, quando cioè andrà in onda un reportage della Bbc, saranno accesi ancora una volta i riflettori dell’attenzione mediatica. Un fatto che da un secolo divide ed è oggetto di eccezionale devozione quanto di aspre polemiche. Quel fatto si chiama Sindone
, il lenzuolo cioè che avvolse il corpo di Cristo dopo la morte, e che sarebbe il silenzioso ma inequivocabile testimone della sua passione e della sua resurrezione. Un lenzuolo che, se autentico, conterrebbe il sangue di Cristo e persino il suo Dna. Sarebbe la prova di un avvenimento unico nella storia dell’uomo, la traccia per eccellenza dell’unico importante Avvenimento. E, se falso, invece, non smentirebbe certo la fede di chi crede in quel Fatto, ma – siamo onesti – rappresenterebbe un grande dolore e un’enorme delusione per milioni di fedeli e altrettanto certamente contribuirebbe a screditare la Chiesa cattolica agli occhi del mondo protestante e non cristiano. Vi avverto, questa testimonianza non contiene prove certe sulla Sindone ma aggiungerà, spero, un contributo di scetticismo sulla scientificità degli esami che si svolsero vent’anni fa e che datarono la Sindone come un reperto medioevale.
Prima di tutto i fatti, quelli certi. Nella notte del 21 aprile del 1988 la Sindone fu tolta dalla grande teca di argento che la custodiva nella cappella sul retro del Duomo di Torino. Lo scrigno conteneva un grande cilindro, in sostanza un rotolo di 20 centimetri di diametro composto dal bastone sul quale era stata avvolta la Sindone, la tela d’Olanda che era stata cucita sul retro del lenzuolo nel 1532, per rinforzare il tessuto danneggiato da un incendio mentre si trovava nella cattedrale di Chambery, e quattro teli protettivi, il tutto avvolto da un telo di raso sigillato. L’involucro venne srotolato alla presenza dell’arcivescovo di Torino, il cardinale Anastasio Ballestrero, e di una trentina di persone, tra le quali gli scienziati incaricati dell’esame scientifico più controverso e contestato dello scorso secolo: la datazione esatta della Sindone mediante il sistema del carbonio 14. In sintesi, un sistema che permette di datare con una buona approssimazione l’età di un materiale organico, compresi i tessuti. Per tutta la notte Giovanni Riggi di Numana, esperto di sistemi di misurazione, assistito dal professore Luigi Gonella, docente di Fisica al Politecnico di Torino e assistente scientifico del cardinale, lavorò per ritagliare un frammento di Sindone, ripulirlo dai fili di interpunzione che lo legavano alla tela d’ Olanda e altro materiale che non appartenesse al lenzuolo originario, e dividerlo poi in tre campioni. I frammenti, dopo essere stati pesati, vennero consegnati al cardinale, che si appartò in una stanza con il direttore del laboratorio scientifico del British Museum di Londra, Michael Tite, che aveva portato con sé altri nove campioni di tessuto.
Va detto che l’intera operazione venne filmata. Sedici ore di registrazione eseguite da un incaricato di Riggi di Numana, e che ho avuto modo di visionare per intero per scegliere poi il materiale da trasmettere in un reportage che andò in onda su Rai Uno il 12 settembre, un mese esatto prima che venissero resi noti i risultati della radiodatazione. In quei filmati si vede chiaramente tutta la procedura dell’operazione, la ripulitura del pezzo di tela tagliata e persino la pesatura elettronica dei campioni con la grammatura esatta al milligrammo.
I dodici cilindri
Dalla stanza in cui erano entrati da soli, il cardinal Ballestrero e il professor Tite uscirono poco dopo con dodici cilindri d’acciaio, sigillati con lo stemma dell’arcivescovo e numerati. Tre contenevano i campioni prelevati dalla Sindone, e gli altri nove i pezzi di stoffa portati da Tite, cioè tre frammenti di un lenzuolo funebre nubiano del 1100 dopo Cristo, tre di un bendaggio di una mummia datata al Secondo secolo d.C., e tre presi da un mantello conservato in una basilica francese e datato intorno al 1300. Il dato essenziale è che nessuno, nessuno ad eccezione di Tite e Ballestrero, doveva sapere quali cilindri contenessero i frammenti sindonici e quali gli altri campioni. Si chiama esame in triplo cieco. I cilindri vennero divisi tra tre laboratori scientifici di fama internazionale, quello di Tucson, in Arizona, quello di Zurigo e infine quello di Oxford. Tre laboratori tutti appartenenti a paesi di area prevalentemente protestante. Il che era stato visto come la prova che si voleva che le analisi fossero effettuate in un clima tale da non suggestionare in alcun modo i ricercatori.
Gli esami furono effettuati in tempi diversi: in Arizona in maggio, a Zurigo in giugno, a Oxford in agosto. I laboratori non avrebbero dovuto avere scambi di informazioni tra loro. Insomma, nessuna delle persone addette alle analisi doveva sapere su quale campione stava lavorando e avrebbe dovuto consegnare al cardinale solo un appunto con il numero del campione e la sua datazione. Eppure…
Eppure già il 27 luglio la Bbc trasmise un filmato in cui sosteneva che le analisi avrebbero concluso che la Sindone era di epoca medioevale. Il clima cominciò a diventare rovente in quella calda estate. Ma i garanti del progetto di ricerca insistevano sulla serietà degli scienziati e le indiscrezioni vennero attribuite a fantasie giornalistiche. Eppure…
L’improvvisa telefonata di Gonella
Eppure dopo che andò in onda il reportage e prima della pubblicazione dei risultati ricevetti a casa una telefonata del professor Gonella, persona la cui serietà scientifica e correttezza umana non fu mai messa in dubbio. Gonella era sconfortato: «Girano molte voci – mi disse quella sera di fine settembre – e credo proprio che i laboratori si siano scambiati delle informazioni». «Cosa intende?», ricordo che gli chiesi. «Intendo che nutro delle perplessità sui protocolli scientifici usati, non erano questi gli accordi, ma non potevo immaginare che istituti di così chiara fama si comportassero in questo modo». «Ma la datazione?». «La datazione la sapremo solo quando il cardinale riceverà i risultati e dirà quali campioni sono quelli prelevati dalla Sindone, ma…». «Mi dica, che data circola professore?». «Si ipotizza una data medioevale… ma la prego di tenere questa informazione per sé…». «Come è possibile, se i campioni non sono ancora stati individuati?». «Appunto, non dovrebbe essere possibile».
La telefonata finì lì, ma era chiaro che il professore sapeva con certezza quale sarebbe stato il responso. E infatti il 13 ottobre il cardinale dovette annunciare che la radiodatazione aveva stimato la Sindone a un’età tra il 1260 e il 1390 dopo Cristo. Insomma, un oggetto medioevale. Gonella non contestò gli esami, né aveva modo di farlo. Ma era chiaramente amareggiato e mi chiese di non divulgare le sue confidenze. Mi sento libero di farlo solo ora, dopo la sua morte nello scorso agosto e a vent’anni di distanza dai fatti.
Resta il mistero dell’immagine
Ma la controversa radiodatazione non spiega tante altre cose, a cominciare dalla formazione dell’immagine, che non ha pigmenti né altre sostanze, non è una immagine di contatto, ma una proiezione sulla tela, un’immagine superficiale che non c’è sotto le macchie di sangue. E soprattutto non si capisce come si sia formata. Perché, unica ipotesi formulata, se un genio medioevale avesse scaldato una statua per poi distendervi sopra e sotto un lenzuolo (la Sindone ha anche l’immagine posteriore del corpo martoriato), potrebbe aver prodotto un “effetto ferro da stiro”, insomma una strinatura del lino, ma in questo caso all’esame della luce nera di Wood si vedrebbero i residui (si chiamano forfuroli) della leggera bruciatura, ma questi non ci sono. Anzi, si evidenziano altri segni lasciati dal flagrum, la frusta romana. Come altri segni compatibili con il racconto evangelico sono riconoscibili solo con analisi moderne, oltre che con l’ormai famoso negativo della foto effettuata nel 1898. E in ogni caso un falsario avrebbe applicato il sangue sulla figura, mentre non c’è immagine sotto le tracce ematiche, cioè il sangue si è depositato sulla tela prima che si producesse – come e perché non sappiamo – quella radiazione che ha impresso sul telo l’impronta che conosciamo.
Insomma, la datazione non spiega i misteri dell’oggetto, di cui è stato analizzato tutto. Anzi, più lo si analizza più diventa inspiegabile. Uno degli scienziati americani che nel 1978 ebbero accesso agli studi concluse così le sue osservazione: «L’unica osservazione sensata che si può fare davanti a questi dati è che la Sindone non esiste». Invece c’è. È un fatto. E la scienza non spiega il mistero.
Piuttosto svela i propri limiti. Sono state fatte varie ipotesi, elaborate per spiegare l’incongruenza della datazione, dalla falsificazione dolosa degli esami alla sostituzione dei campioni, all’involontario errore nel prelievo del tratto di tessuto che avrebbe lasciato frammenti di tessuti di altra data, alla presenza di altri materiali organici depositati nei secoli che hanno alterato l’analisi. Ma si tratta solo di ipotesi, appunto. Certo è che il direttore del Radiocarbonion Accellerator di Oxford, Christopher Ramsey, dirà nel documentario che la Bbc trasmetterà il Sabato di Pasqua che l’esame ora potrebbe essere messo in discussione dall’evoluzione tecnologica che ha portato a tecniche più raffinate.
Ma resta il mistero, e qualche domanda. Chi e perché ha avuto interesse, nell’estate di vent’anni fa, ad anticipare risultati che non poteva, o in ogni caso non doveva, conoscere? Chi e perché ha voluto rischiare la sua reputazione scientifica infrangendo un protocollo così rigoroso su un oggetto così importante? Chi e perché, infine, voleva a tutti i costi che la Sindone fosse screditata come se si volesse cancellare l’indizio di un fatto scomodo, di un delitto, di qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere accaduto?
Tempi 20 marzo 2008