Circa due secoli fa la classificazione evolutiva del genere umano passava da Homo Erectus (2 milioni di anni fa) a Homo Sapiens (da 1,8 milioni a 70 mila anni fa), fino ad arrivare all’ultima classificazione di Homo Sapiens-Sapiens (35.000 anni fa, Linneo 1758) a cui apparteniamo tutti noi.
Tutte le classificazioni si sono basate sulle testimonianze archeologiche, sia della struttura fisica che delle capacità strumentali mirate ad un sempre migliore (e visibile) adattamento all’ambiente a favore della vita.
Fin dall’epoca industriale i frutti dell’ingegno umano sono vertiginosamente aumentati e perfezionati. Comunque, fino al secolo scorso tutto poteva rientrare nelle performance (capacità intellettive a tecnologiche) del passato.
Il millennio scorso ha messo fortemente in crisi questa classificazione. La tecnologia del secondo millennio ha completamente cambiato non solo lo stile di vita, ma anche il pensiero dell’Homo Sapiens e della visione di sé stesso.
Ad aprire gli occhi su questa realtà sono stati prevalentemente i due conflitti mondiali dove macroscopicamente si è visto l’ingegno umano indirizzarsi fortemente verso una tecnologia di morte.
Con l’avvento dell’informatica e soprattutto in questo millennio, dell’intelligenza Artificiale, l’Homo sapiens si è diviso in due gruppi, uno esiguo di “generatori di idee” e uno enorme di “fruitori” (follower). Mentre i generatori posso buon titolo accodarsi all’Homo Sapiens di 30000 anni fa, i fruitori sono completamente fermi dal punto di vista della creatività, anzi mi permetto di dire no una generazione umana sterile e in forte regressione.
Tuttavia, il focus di questo blog non è su questa linea di pensiero a cui conferirò in seguito più attenzione, ma verte fondamentalmente a mettere in discussione proprio il termine identificativo dell’Homo ovvero “sapiens” (o sapiens-sapiens) come rafforzativo.
Il termine sapiens deriva dal latino e significa, “sapiente”. È una traduzione che si riferisce all’uomo moderno, che diversamente dai nostri progenitori, è “l’uomo che sa di sapere”. Il termine deriva dal verbo sapere e indica una persona saggia, dotta o competente.
Mentre sono d’accordo sugli specificativi di dotto e competente, ho delle forti perplessità. sull’attribuzione di saggio.
L’evoluzione delle potenzialità tecnologiche e l’uso che ne viene fatto è tutt’altro che espressione di una saggezza quale virtù (come considerata per millenni) . Soprattutto da parte dei “generatori” a cui si accoda una marea di stolti che ne fruiscono acriticamente amplificando senza limite il thanatos (istinto di morte) delle ultime generazioni.
Mi permetto da antropologo di distinguere ulteriormente la definizione dell’Homo soprattutto quella degli ultimi centocinquanta anni. Dalla seconda metà del XIX secolo e per tutto i primi del Novecento l’evoluzione tecnologica e l’economia si sono fortemente intersecate fra di loro. La nuova prospettiva del profitto si è aggiunta al meritorio fine di migliorare la vita dell’umanità, generando le devianze morali di cui oggi stiamo pagando lo scotto.
Ecco allora apparire sullo scenario del mondo moderno una generazione umana nuova che io ho chiamato Homo Oeconomicus. La sua caratteristica è quelle della logica del “brevetto” in cui ingegno e guadagno sono indissolubilmente uniti. Ho approfondito l’argomento nel mio saggio “Quale uomo? Il dissolvimento dell’identità umana”[i], per cui non mi dilungo oltre.
L’Homo Oeconomicus, perciò detto. Difficilmente potrà essere pienamente saggio. La saggezza vera è intrisa della dimensione etica e quindi è capace di moratorie laddove intravvede che i prodotti dell’ingegno vanno a collidere con il fare “Bene” e fare “Male” ‘per la collettività. Se tutto è business, allora l’uomo stesso diventa produttore e prodotto allo stesso tempo, merce che si vende e che si compra. Questa triste realtà è sotto gli occhi di tutti coloro che sono nell’ingranaggio dell’attività produttiva del mondo del lavoro, diventato sempre più spietato e cinicamente guidato da “sapienti” stolti. In questo millennio, sulla scorta dell’eredità del secolo scorso si è aggiunto un fattore: la dittatura della tecnologia. Una tirannia che si spalma sia sui “generatori”, che devono creare sempre nuove e competitive produzioni, sia sui fruitori, che possono essere anche parte della filiera della realizzazione del prodotto, oppure sui milioni di utilizzatori catturati dalla macina infernale della modernità consumistica.
Si passa quindi dall’Homo Oeconomicus al suo diretto successore:,l’Homo Tecnologicus. La caratteristica dell’Homo Tecnologicus è quella di avvicinarsi molto più all’Homo Habilis piuttosto che all’Homo Sapiens, con la differenza che l’Homo Habilis ideava e produceva, oggi c’è chi produce e chi usa. Quest’ultimo abdicando all’ingegno attende che altri facciano per lui. Da qui alla regressione di una intera generazione umana il passo è brevissimo.
Lo vediamo con l’AI (Intelligenza Artificiale) dove le performance squisitamente umane sono al minimo storico. L’intelligenza logica (astratta) libera da pressioni utilitaristiche è pressoché scomparsa ed ora anche quella grande ricchezza che si chiama “memoria” sta scomparendo grazie alla delega all’abnorme banca dati a disposizione su internet.
E allora che fare? Innanzitutto, non farsi catturare dalla disperazione, in secondo luogo impegnarsi come singoli come comunità a ripensarsi per un nuovo futuro. La ricchezza delle potenzialità raggiunte richiede una grande responsabilità ovvero il suo uso saggio e un cambio di paradigma esistenziale. Su questa linea definisco la nuova umanità, orientata verso un rinnovamento globale, quella dell‘Homo Virtuosus. L’Homo Virtuosus è l’uomo forte, competente (sapiente) e saggio allo stesso tempo, fondato sul bene comune di cui anche le conquiste tecnologiche e le leggi dell’economia fanno parte. Si tratta solo di saperne fare buon uso purificando la loro gestione da ciò che è nocivo nell’oggi, prevenendo così gli imponderabili rischi di domani.
[i] M.E. Luparia, “Quale uomo? Riflessioni sul dissolvimento dell’identità umana”, Editrice Vaticana 2014
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