IL FANCIULLO E L’INFINITO

da | Ott 28, 2025 | BLOG

IL FANCIULLO E L’INFINITO

da | Ott 28, 2025 | BLOG

Per mezzo di un breve racconto ho inteso sottolineare due concetti importanti: il gap generazionale è solo un mantra superficiale riproposto da chi vuole caparbiamente mettere artificiose distanze tra generazioni; il sapersi stupire non ha età ed il fondamento della personalità dei veri scopritori.

“Agli inizi degli anni Sessanta, Paolo tredici anni, come sempre passava tutte le sue vacanze estive in Piemonte dalla nonna, donna di straordinaria tempra come tutte le mondine. Non aveva una grande cultura ma la sua esperienza di vita era tale da non impedirle di condire con ricordi i fatti di vita che riguardavano l’intera famiglia.

In quel tempo, a scuola, era un gran somaro, ma per un gioco perverso del destino aveva la fissa della scienza, della scoperta, voleva diventare a tutti i costi uno scienziato. La sua curiosità, molto naif, lo induceva al gioco più eccitante dell’estate: l’inventore. Allo scopo frugava dentro il ripostiglio del nonno paterno, volato in cielo tre anni prima, dove c’erano tutti i suoi cimeli della guerra e della prigionia, attrezzi e attrezzini, dato che era stato sergente maggiore del Genio. Una vecchia lampada a carburo, una puzzolente maschera antigas, bottiglie di vetro tipo farmacia, alcune ancora contenenti misteriosi liquidi che non si azzardava a liberare, strane polveri e il pezzo forte: pesanti cristalli di pirite lucenti come l’oro. Un vero tesoro! Con questi ed altri grossolani oggetti immaginava il suo laboratorio, nella prospettiva di chissà quale grande invenzione. Ovviamente il gioco finiva in un miserando fallimento con grande sua frustrazione.

La nonna era troppo indaffarata nelle incombenze della casa, dell’orto e tutto il resto per lasciarsi coinvolgere dai suoi sogni disperati, ma non suo zio Giacomo. Lui no! Era molto curioso nonostante il suo passato di operaio in fabbrica. Gli piaceva molto parlare con lui e sopportava volentieri i suoi sproloqui pseudoscientifici. Lo incuriosivano e lo divertivano. Paolo era contento di sapere che c’era qualcuno che lo prendeva sul serio. Lo appagava nel suo orgoglio adolescenziale!

C’era un argomento particolarmente gratificante per ambedue. Grazie alle sere d’estate e alla misera lampadina, sopra la porta di casa, che lasciava pressoché inalterato il buio pesto che avvolgeva il cortile. Era un magico preliminare per il dialogo che ne sarebbe susseguito.

Finita la cena, Paolo si metteva in agguato dietro il muro che divideva i cortili delle due cascine in attesa dell’arrivo dello zio. Non appena vedeva spuntare la sua ombra dall’uscio, quatto quatto si avvicinava con la sua sedia impagliata al seguito e non appena lui si sistemava si accomodava al suo fianco come si trattasse di una poltrona libera di un cinematografo.  Lo zio faceva sempre finta di non accorgersi del suo arrivo, ma in realtà conosceva bene la sua manovra, mostrando ogni volta una poco credibile sorpresa. Poi con il solito rituale accendeva il sigaro toscano, aspirando forte e sbuffando ampie volute di fumo. L’odore acre del tabacco si mescolava con quello dolciastro del mais messo ad esiccare in un angolo del cortile fin dalla mattina.

Il cielo era una vera meraviglia. Un panneggio scuro costellato da una miriade infinita di stelle che rilucevano sopra di loro. Sapevano tutti e due che l’oggetto del loro disquisire serale sarebbe stato come sempre proprio questo affascinante scenario siderale.

Certo erano un bel assortimento! Lui vecchio operaio comunista e non credente, Paolo adolescente ancora sensibile al grande tema dell’esistenza di Dio. Ma non era un problema, come per un tacito accordo scivolavano in un dialogo pacato e rispettoso, ascoltandosi innanzitutto, godendo più della diversità delle idee che cercando lo scontro.

Il punto che li portava a convergere era quasi sempre l’immensità dell’universo. Le questioni teologiche non lo avevano mai interessato e Paolo era troppo acerbo per imbarcarsi in questioni così alte. Erano lo sguardo incantato che li spingeva a porsi le questioni nella loro forma più banale: fin dove arriva l’universo? Ha una fine e un principio? Ci sono altri mondi come la terra? E così via.

Non era importante arrivare al dunque, ciò che contava era parlarne e l’eccitazione che ne derivava, almeno per il fanciullo. Era una palestra del cuore e una tela su cui rappresentare le emozioni e i grandi temi dell’esistenza nella forma più semplice possibile. Uno di essi era la questione dell’infinito. Questo argomento lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Da un approccio scientifico passò a quello filosofico, quindi a quello psicologico-esistenziale, per finire, un trentennio dopo, a quello religioso-spirituale.

In quei momenti il disquisire sembrava più un gioco che un voler arrivare a un punto che avesse almeno la parvenza di una discussione scientifica. Non era importante che ci fosse una conclusione, il parlarne bastava a sé stesso, il godimento era sufficiente come la certezza che l’universo fosse immenso e che non fosse possibile contare le stelle.

Ogni sera d’estate, caratterizzata da cielo sereno, si ripeteva l’appuntamento con gli stessi quesiti irrisolti della sera prima e preparando quelli per l’incontro successivo. Per Paolo sono passanti più di sessant’anni da quei giorni meravigliosi di vacanza e la questione è rimasta tale e quale: stesse curiosità e stesse emozioni. “

Con questo brevissimo racconto, ho voluto significare che la maturità dovuta al tempo che passa, pur non cambiando il tema, ha solo messo in gioco altri strumenti speculativi sul piano scientifico, filosofico e religioso, fino al disquisire  sui paradossi matematici dell’infinito e dell’infinitesimo. Questione ancora aperta! Mi permette di sottolineare, infine,  che i fattori che hanno reso esaltante quel semplice incontro sono due fondamentalmente: la curiosità e la capacità di stupirsi. Essi sono gli stessi che caratterizzano la personalità di un qualunque uomo di scienza aldilà della sua età!

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