La memoria è una caratteristica che contraddistingue il mondo animale (quindi anche l’essere umano), che consente di immagazzinare e rieditare frammenti di esperienza riassemblandoli con un senso compiuto. Il buon funzionamento della memoria non costituisce solo un ausilio cognitivo al servizio capacità intellettuali, culturali e operative volte al miglioramento della vita personale e collettiva, ma anche una potente protezione da pericoli già sperimentati e dalle conseguenze nel caso di reiterazione. Al punto che si dice che: un uomo senza memoria è un “uomo morto”, è solo questione di tempo. Da questo punto vista gli animali hanno invece un meccanismo perfetto di riconoscimento del pericolo, non solo nella sua prossimità, ma anche a partire dai suoi precursori: un suono, un odore, una traccia, ecc.
L’essere umano, che aveva per millenni mantenuta intonsa questa capacità, è andato perdendone la finezza, ponendosi molto spesso in zona rischio di danni anche mortali. L’infragilirsi della memoria in alcuni casi diventa una vera e propria dimenticanza (o totale sottovalutazione) con le conseguenze che possiamo immaginare. Fin qui nulla di nuovo all’orizzonte: sono cose risapute!
Ora è d’obbligo declinare meglio il titolo di questo Blog: risorsa e insidia. Se abbiamo decantato la memoria come una qualità indispensabile perché dovrebbe diventare una insidia?
La memoria come tutto lo psichismo umano non è stabile, assume trasformazioni plastiche a seconda della situazione, delle sollecitazioni ambientali, relazionali ed emotive. Eventi, fatti, situazioni sempre corredati dalla componente emozionale, non vengono assunti così come sono senza alcuna deformazione come accade nel mondo animale, bensì rielaborati a seconda dei significati che il singolo individuo gli conferisce: possono essere enfatizzati, minimizzati, oppure come nel caso del trauma, addirittura rimossi (dimenticanza profonda).
L’insidia, quindi, sta proprio nella plasticità della mente e delle sue elaborazioni. La più frequente delle deformazioni, che tutti noi conosciamo e come già detto, è l’enfatizzazione di alcuni ricordi e la sottostima di altri a seconda dei vantaggi o svantaggi che ne possono derivare. Non mi sto riferendo al trauma ma a quello che accade spessissimo nella nostra vita quotidiana come ad esempio nei conflitti intrafamiliari.
In questi conflitti molto spesso si sente dire da una delle due parti (o da tutte e due) nel momento del confronto questa locuzione: “ti ricordi solo quello che vuoi!”. Chi lo dice ha sovente ragione, tuttavia non impedisce che le parti quasi immediatamente si invertano, disattivando il processo del “problem solving” (soluzione del problema). La verità dei fatti si delinea come una pelle a macchia di leopardo, in cui parti vere e parti false si alternano guidate non dalla voglia di fare verità (e quindi convergenza), ma da un processo di difesa e attacco che può diventare sempre più cruento.
Se non è la verità a condurre alla composizione dei conflitti allora è l’ideologia a guidare i giochi. L’ideologia attinge giocoforza a frammenti di verità fattuale per darsi una credibilità (fittizia) e comprovare una verità di comodo, quella che darà forza alle proprie idee precostituite.
Purtroppo, in questo momento storico questo processo distorsivo si sta esprimendo anche nei macrosistemi della politica e (peggio che mai) della geopolitica, fino al patologico meccanismo della negazione di cui vediamo le gravi conseguenze. A titolo esemplificativo lo vediamo nell’attuale conflitto in Medioriente dove le parti in causa, ma anche i commentatori, mostrano delle vere e proprie zone d’ombra nella memoria, al punto di creare delle aree di blackout nella descrizione fatti cadendo nel puerile (e patologico) contenzioso basato sul citato “tu vuoi ricordare solo quello che ti fa comodo”.
Come si esce da questo ginepraio? Non tutti sanno che esiste una corrente filosofica che passa sotto il nome di “fenomenologia”. La fenomenologia, molto semplicemente, approccia alla realtà a partire della sua osservazione nuda e cruda, senza interferenze o distorsioni ideologiche. Per fare un esempio l’omicidio di un singolo individuo o la strage di una famiglia (lo dice il Diritto Penale), sono assunti come fatti oggettivi dai giudici prima di analizzare il che cosa ha determinato l’atto cruento. Su questo dato oggettivo si baserà poi il giudizio penale del reo.
Nel caso del conflitto tra Israele e Hamas la fenomenologia ci può essere di grande aiuto. Vediamo come i 1.220 morti del 7 Ottobre non possono matematicamente essere equivalenti agli ormai 70.000 palestinesi uccisi in due anni compresi quelli che sono ancora sotto le macerie.
Inoltre, sempre nella strage del 7 Ottobre il numero dei civili uccisi sembra ormai attestarsi sui 6/700, gli altri erano militari; a Gaza i civili morti sono almeno l’80%, il rimanente si pensa siano affiliati di Hamas.
Questa incontestabile verità fattuale potrebbe, e dovrebbe, guidare le coscienze a trarre conclusioni per dare concretezza ad un vero processo di pace. Invece anche questo dato matematico viene relativizzato da una micidiale manipolazione ideologica nella quale chi commenta (non chi racconta!) non fa informazione, bensì offre alimento alle attese ideologiche di parte di chi ascolta già schierato, alimentando solo il rancore e l’odio.
Su questa linea ci ricordiamo giustamente della Shoah, ma dimentichiamo che ancora non si è chiusa la questione del bombardamento atomico a Hiroshima e Nagasaki, ricordiamo le vittime dell’11 settembre negli USA (3000) e dimentichiamo i 200.000 civili uccisi in pochi giorni nel bombardamento alleato a tappeto su Bagdad nel 2001, lo stesso possiamo dire del pogrom serbo in Bosnia (sotto lo sguardo colpevole dei soldati delle Nazioni Unite) dove sono stati decimati decine di migliaia di civili. Inorridiamo davanti le segregazioni razziali in vari Paesi e non si dice una parola di fronte all’esistenza, tuttora, delle riserve indiane. Che dire di più!
In conclusione, con questo breve articolo ho desiderato sottolineare che se si vuole veramente ambire alla pace, essa non si potrà mai fondare sulle mezze verità o sulle verosimili menzogne. La verità richiede coraggio e azioni virtuose che solo coscienze limpide possono mettere in essere. La verità è la madre della pace, della giustizia e della libertà (”solo la verità ci farà liberi”, Gv 8,32).
Le generazioni future devono essere educate al coraggio di riconoscere e riconoscersi le responsabilità, innanzitutto davanti a sé stessi. Solo così in un domani potranno fare lo stesso davanti ad una nazione, davanti al mondo intero e infine davanti alla storia. In difetto di ciò siamo destinati ad una schiavitù di un burattinaio tiranno, più o meno visibile, che tirerà i fili di un canovaccio che potrebbe essere più tragico di quello che vediamo ora.
Il contenuto di questo articolo è soggetto a Copyright
