OBAMA, LA CRISI ED IL NUOVO ORDINE MONDIALE

da | Dic 2, 2013 | ATTUALITÀ, GIUSTIZIA LAVORO PACE, SOCIOLOGIA

OBAMA, LA CRISI ED IL NUOVO ORDINE MONDIALE

da | Dic 2, 2013 | ATTUALITÀ, GIUSTIZIA LAVORO PACE, SOCIOLOGIA

AsiaNews 14/11/2008 12:14

L’abisso della crisi economica spinge molti a proporre il governo di un organismo mondiale per l’economia, ma anche per la politica. Il dominio della finanza è assicurato anche dal nuovo gabinetto di Barack Obama, costituito da persone fra i responsabili della crisi. Intanto nessuno rivendica il potere al popolo di battere moneta. La democrazia è uccisa dalla finanza.

di Maurizio d’Orlando

Milano (AsiaNews) – Un nuovo ordine mondiale, da tempo programmato, sta per essere reso “inevitabile”. Molti politici ed economisti si affrettano a dire che ciò comporterà gravi sacrifici, ma ad ogni persona “ragionevole” è evidente che si tratta di sofferenze e disagi del tutto “necessari”.
Catalizzatore di questa riformulazione del pianeta è la crisi economica di cui siamo vittime. Questa crisi a fuoco lento, da immobiliare, bancaria e finanziaria, sta ormai toccando l’industria, l’agricoltura e tutta l’economia; dall’epicentro statunitense sta raggiungendo in vari gradi tutto il mondo. Il timore di reazioni a catena su possibili sconvolgimenti economici politici e sociali, la paura di anarchia in ogni campo, forniranno lo strumento necessario per attuare questo nuovo ordine, che i più vedranno come l’unico esito possibile. In tal modo, dovranno essere riformulati il governo; il direttorio mondiale della finanza, dell’economia e della fiscalità; quello dell’ordine pubblico, del sistema penale, della regolamentazione dei rapporti privati dentro e fuori l’ambito familiare; della sovranità di ciascun popolo, della possibilità stessa di esprimere opinioni difformi dal pensiero unico relativista: tutto ciò sarà considerato l’unica soluzione di fatto disponibile ed auspicabile.

Il nuovo ordine e il G 20

Fino a pochi decenni fa, tale nuovo ordine mondiale sarebbe stato considerato con orrore, un incubo, l’anticamera di una dittatura planetaria. Invece, d’ora in poi i capi delle nazioni saranno lodati per aver dato prova, in un momento difficile, di senso del bene comune per tutti i popoli della terra e di interesse verso tutti gli strati sociali. Beninteso, questo è quanto ci verrà detto – temiamo molto presto – a ben più chiare lettere di quanto oggi possiamo intuire. Del resto, già da tempo, si parla della necessità di “regole”, di una nuova Bretton Woods. L’occasione più probabile in cui ci verrà fornito il nome della medicina “miracolosa” sarà forse la prossima riunione dei vertici politici ed istituzionali del G 20, in programma a Washington il 15 novembre. La “medicina” sarebbe una banca centrale mondiale che regolamenti la moneta unica di riferimento ed i rapporti di questa con le sotto-denominazioni locali del sistema.

Al G 20, dopo una breve lezioncina ed una frettolosa diagnosi sulle difficoltà attuali – “è tutta colpa di quegli scriteriati liberisti di Bush” –  la cura per sanare la terribile crisi ci verrà impartita proprio dai maggiori responsabili di questa stessa crisi. Basta vedere chi ha maggiormente finanziato la più dispendiosa campagna elettorale per la presidenza dell’ex superpotenza americana (oltre un miliardo di dollari, in un momento di pesante recessione). Come sempre e come è ovvio, chi aveva interesse ha giocato su entrambi i tavoli per ogni evenienza; ma alla fine, come sappiamo, ha prevalso Barack Obama, anche in termini di spese: quasi il doppio in termini assoluti di quelle del candidato repubblicano. Oltre ai soliti settori – il mondo dello spettacolo e del’informazione, quello universitario e dell’istruzione, dell’informatica e di internet – i contributi per il nuovo presidente sono venuti in particolare dai fondi speculativi (“hedge funds”); dagli studi legali [anch’essi traggono risorse dalle complesse alchimie dei contratti di finanza creativa]; dai fondi di “private equity”(1). Per non cambiare nulla, occorreva che all’apparenza cambiasse tutto. In fondo, anzi in superficie, è bastato poco: il colore un po’ più scuro della pelle del nuovo presidente. Per il resto, il governo del nuovo presidente è composto, dai “soliti” responsabili, di fatto irresponsabili. Guardiamo ai nomi in lizza per il ministero del Tesoro: Larry Summers, Tim Geithner e Robert Rubin. Sono tutti ultra-liberisti, persone che hanno sempre sostenuto la necessità di svincolare la finanza da ogni regola, dei nemici della legge Glass-Steagall(2).

Essi sono coloro che, nel girotondo d’incarichi per i membri del clan – al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, nei governi del presidente Clinton, sotto l’ala di Alan Greenspan e di Ben Shalom Bernanke, o addirittura al vertice della Federal Reserve Bank di New York (Geithner) – hanno di fatto pilotato tutti gli sviluppi precedenti e successivi all’emergere della crisi odierna.

I volti vecchi del governo di Obama

Come capo di gabinetto, Obama ha scelto Emanuel Rahm, che vanta una carriera a cavallo tra la politica e le grandi case finanziarie di Wall Street. Nel suo caso c’è pure dell’altro. Non solo il padre di Rahm era membro dell’Irgun(3), ma lui stesso ha anche la cittadinanza israeliana, ha combattuto per Israele, è il referente per le forze armate israeliane ed ha patrocinato lo scorso 4 giugno la candidatura di Obama ai vertici dell’AIPAC(4) –  l’organizzazione sionista americana finanziata anche dallo Stato di Israele e coinvolta in alcuni recenti casi di spionaggio. In Israele hanno commentato: “[Rahm ] è il nostro uomo alla Casa Bianca”. Questa osservazione ci porta a considerare che forse la scelta tra i due candidati non era equivalente. A lungo in altalena nei sondaggi, dopo un’apparente prodigiosa rimonta, lo schieramento repubblicano, rafforzato nelle propensioni degli elettori dalla vicenda della Georgia, è iniziato a precipitare in modo definitivo da quando il presidente Bush, a fine agosto, ha negato la fornitura di aerei-cisterna necessari all’aviazione israeliana per un’incursione a lungo raggio(5), rifiutando con ciò l’avallo del governo americano ad un attacco contro l’Iran. Pochi giorni dopo anche le quotazioni delle materie prime ed in primo luogo del petrolio, su cui le grandi banche d’affari avevano pesantemente scommesso per compensare le perdite sui mutui immobiliari, hanno iniziato a sgonfiarsi per poi precipitare con le borse di tutto il mondo a partire dai primi di settembre(6).

La democrazia e la moneta

Da tutte queste premesse è chiaro che la presidenza Obama non porterà cambiamenti di rotta nella gestione della crisi finanziaria; al contrario rafforzerà la tendenza a proteggere le grandi istituzioni ed industrie a scapito delle piccole imprese e del cittadino medio che gli ha dato il voto. Soprattutto è anche chiaro che nel G 20 di Washington non verrà per nulla scalfita la questione centrale dell’attuale crisi finanziaria ed economica – e delle tante altre precedenti crisi della modernità e della postmodernità – cioè la sovranità e legittimità di sistema. Nel mondo a noi contemporaneo, l’unico regime considerato pienamente legittimo, in termini di potere politico  ed economico, è quello democratico. Per la diffusione della democrazia nel mondo sono state combattute molte guerre ed in democrazia, per definizione, sovrano è il popolo. Se, però, una democrazia evoluta e complessa come quella americana può essere pilotata – nel senso che all’elettore è lasciata l’illusione di scegliere mentre in realtà è il marketing politico che, come nei supermercati, guida gli orientamenti – da chi dispone di grandi risorse monetarie, non si può più affermare che la legittimità del sistema sta nel consenso popolare. Questo può essere comprato e, dunque, nella disponibilità stessa di moneta si fonda il consenso ed il potere in democrazia. Non si tratta certo di considerazioni nuove, ma il punto cruciale è che l’emissione della moneta è di per se stessa un atto sovrano, nel senso che la circolazione della moneta è imposta per legge: un creditore non può rifiutare un pagamento in moneta avente corso legale e pretendere invece una diversa prestazione a suo piacimento (oro, argento, o altro), se non l’ha concordato prima. Chi controlla l’emissione della moneta, mediante regole scritte ad hoc, può favorire chi conviene o è più gradito(7).

Il paradosso della moderna democrazia è che il popolo sovrano – nei suoi supposti rappresentanti, i parlamenti, i capi di Stato e di governo – non ha di fatto e di diritto alcun potere all’interno della Fed (ma anche della Bce, la Banca centrale europea) – in riferimento ad un atto sovrano di primaria importanza. A tutela pubblica e per evitare le intromissioni della politica, l’emissione della moneta è stata privatizzata e sottratta al controllo pubblico. Il Sovrano, nei suoi rappresentanti, è inaffidabile e quindi in concreto non è sovrano. Non tutti sanno infatti che la Fed è un organismo di diritto privato così come ad esempio la Banca d’Italia e molte altre banche centrali nel mondo. È così dagli albori del parlamentarismo, da poco dopo la “Glorious Revolution” nel 1688(8).

[1] Vedi ad es. Hedge Funds: Long-Term Contribution Trends | OpenSecrets; Lawyers / Law Firms: Long-Term Contribution Trends | OpenSecrets; http://www.opensecrets.org/news/2008/11/obamas-pick-for-chief-of-staff.html)

[2] La legge Glass-Steagall imponeva la separazione tra l’attività bancaria e quella finanziaria. La legge era stata introdotta nel 1933 per prevenire la possibilità che si riproducessero le condizioni che portarono al crollo di borsa nel 1929 ed alla successiva depressione degli anni Trenta. L’abolizione della Glass-Steagall fu decisa nel 1999 dal governo del presidente Clinton. La finanza “creativa”, causa dei disastri finanziari odierni, è stata resa perciò possibile da un provvedimento non di un’amministrazione del partito repubblicano ma di quello democratico.

[3] Organizzazione sionista che tra le due guerre mondiali organizzava attentati cruenti per combattere il mandato sulla Palestina affidato dalla Società delle nazioni, antecedente dell’ONU, all’Impero britannico e per arrivare così a costituire su di essa lo Stato di Israele.

[4] Obama’s AIPAC Speech, Rahm’s Endorsement | The New York Observer

[5] a) Zionist Organization of America – Press Releases – ZOA Critical Of Bush Administration Decision To Deny Refueling Aircraft To Israel ; b) ‘US rejects Barak’s Boeing 767 request’ | Iran news | Jerusalem Post

[6] Futures chart – Oil price chart

[7] Ad esempio solo alle società elencate nella “Primary Dealers list” (storicamente non più di venti nomi, quelli più citati nelle recenti cronache finanziarie) è consentito l’accesso alle transazioni ed alle aste della Fed per i titoli di Stato emessi per importi miliardari. Primary Dealer List – Federal Reserve Bank of New York

[8] Anche nel moderno parlamentarismo vi è un forte intreccio tra finanza e politica. Le recenti “rivoluzioni arancioni” nell’Est europeo, sostenute dal finanziere George Soros, si ispirano infatti proprio al precedente storico della “Glorious Revolution”. Il parlamentarismo si era infatti imposto in Gran Bretagna con la “Glorious Revolution” spodestando il cattolico Giacomo II Stuart. Non bisogna però confondere parlamentarismo e costituzionalismo. Giacomo II era Sovrano legittimo e costituzionale perché aveva riconosciuto il potere legislativo del parlamento. Guglielmo d’Orange con un esercito di mercenari olandesi e tedeschi, finanziato dai banchieri di Amsterdam aveva invaso e conquistato l’Inghilterra. ed aveva spodestato Giacomo II. Per sdebitarsi, l’Orange – che fu detto il Re dei banchieri – pochi anni dopo ha concesso il monopolio dell’emissione di moneta avente valore legale a dei privati che costituirono la Bank of England e la Bank of Scotland.  Con un capitale di due milioni di sterline oro la Bank of England, da un lato era impegnata a concedere per pari importo un prestito che fruttava un interesse.  Dall’altro lato poteva emettere certificati aurei, cioè moneta a quell’epoca, sempre per il medesimo importo. In un certo senso avevano raddoppiato il capitale.  L’esercito orangista non dové combattere perché Guglielmo d’Orange ottenne l’aiuto di alcuni influenti notabili che, invece di affrontare l’invasore sul campo, si accordarono con lui e tradirono il loro legittimo sovrano. Il principale di costoro fu il capostipite dei Churchill.