OMBRE SUL 7 OTTOBRE

da | Apr 9, 2024 | BLOG

OMBRE SUL 7 OTTOBRE

da | Apr 9, 2024 | BLOG

Prof. Marco Ermes Luparia, Diacono Permanente, Psicologo-Psicoterapeuta, Antropologo Prenatale, Analista IAI per il Mediterraneo e M.O.

Premessa

La decisione, da parte di un gruppo di studenti della Facoltà di Giurisprudenza, immagino dell’Università di Torino essendo apparsa la notizia sulla Stampa, di costituirsi come parte civile alla Corte Penale dell’Aia contro il Premier Israeliano Benjamin Netanyahu, ha destato il mio interesse per le ragioni che verranno dettagliate dii seguito

Il loro capo di accusa è quello di avere consapevolmente ignorato (non da solo) gli avvertimenti ricevuti da varie fonti di Intelligence del pericolo imminente di una azione terroristica di Hamas per creare il casus belli per poter dare seguito alla reazione da più parti definita spropositata e somigliante più ad una rappresaglia indiscriminata sul popolo palestinese che un reale tentativo di debellare Hamas e liberare gli ostaggi. In questo momento in cui sto scrivendo le reali intenzioni di Israele si stanno facendo sempre più chiare. Il progetto, chiaramente ultra-sionista mira a cancellare la Palestina e allargare Israele, come ha dichiarato pubblicamente Netanyahu: non ci sarà mai uno stato della Palestina

“È quanto si legge in un documento del collettivo, che chiede alla Corte di indagare «per capire – è scritto – se Netanyahu è solo un premier incapace di difendere il proprio popolo o meriti di essere incriminato per avere deliberatamente ignorato i segnali di pericolo relativi al 7 ottobre, al fine di avere una sua giustificazione per perseguire quella che sembra essere una sua scelta strategica per risolvere il conflitto palestinese». Alla nota è allegato un testo in inglese, indirizzato al procuratore Karin Khan, in cui si osserva che «è difficile pensare a un’inefficienza degli apparati di sicurezza israeliani» e che «sembra più probabile una deliberata disattenzione».” (Stampa on-line, del 27 Febbraio 2024)

L’ipotesi degli studenti torinesi non mi ha colto di sorpresa in quanto io stesso da tempo avevo già in mente che troppe cose non coincidevano.  L’evento del 7 ottobre si è tuttora cronicizzato ad una narrazione stereotipata che non è stata degnata del minimo approfondimento geopolitico nè dai media nè dal mondo politico dei Paesi sia Europei che del mondo. Neanche quelli ostili ad Israele avevano preso in considerazione questa eventualità. Tutti erano attestati su un grave smagliatura dell’Intelligence militare che aveva sottovalutato gli allarmi.

In considerazione del livello dell’organizzazione e preparazione dell’Intelligence Israeliana, Shin Bet e Mossad, qui cominciano i miei dubbi che cercherò di circostanziare.

  1. Il contesto geografico dell’attacco

Il rave party si è tenuto in prossimità di un kibbutz di Bee’ri a circa una decina di chilometri dal confine con Gaza e vicino a quel che appare l’ingresso di una superfortezza (valico di frontiera).

Tra i mezzi utilizzati per l’attacco di Hamas, oltre le ruspe, trattori e pick-up vi sono stati un certo numero di deltaplani a motore. Il loro arrivo è stato immortalato dalle registrazioni di alcuni dei partecipanti al Rave prima di darsi alla fuga precipitosa o essere catturati.

Per chi non lo sapesse i deltaplani a motore sono mezzi molto lenti che possono raggiungere velocità che vanno dai 40 ai 70 km/h. Considerando che a bordo vi erano due persone, un pilota e un mitragliere, una mitragliatrice, munizionamento,  il loro notevole peso certamente li ha fatti attestare su velocità (lo si vede dal video) non  superiori ai 40 km/h. Vale a dire che il tragitto dall’area di decollo, che non poteva certo  essere a ridosso della linea di confine per ovvi motivi di nascondimento, i 10/15 km da percorrere avrebbero richiesto almeno  20/30 minuti. Non solo ma si sarebbero anche esposti ad una certa visibilità da terra, volando almeno a 150/200 fts  (50/70 mt), come si vede dai video.

Diventa perciò ancora più incomprensibile la sottovalutazione dei servizi di sicurezza della frontiera, nonostante i ripetuti avvertimenti delle vedette che avevano notato attività insolite lungo il confine con la Striscia di Gaza già nei mesi precedenti l’attacco a sorpresa di Hamas.

Ora, più di 100 giorni dopo, la BBC ha pubblicato un’ampia inchiesta su questi avvertimenti, che gli alti ufficiali non hanno preso sul serio. Nell’inchiesta, che ha avuto grande risalto sul network britannico, sia le ex che le attuali vedette raccontano i segnali premonitori che hanno osservato esprimendo la frustrazione per il fatto che le informazioni da loro fornite non siano state prese in considerazione. Gaza

  1. I piani di Hamas e l’Intelligence Israeliana

La dichiarazione pubblica del governo israeliano di attesta sulla posizione di  un fallimento significativo dell’Intelligence. Durante un’offensiva senza precedenti lanciata da Gaza, gli occhi di Israele sembravano chiusi, e l’assalto dei miliziani di Hamas ha colto di sorpresa il Paese durante una festività ebraica importante1. Questo evento solleva interrogativi sulla preparazione di Israele di fronte a un nemico più debole ma determinato.

Le agenzie di intelligence israeliane, come il Mossad, lo Shin Bet e l’intelligence militare, hanno guadagnato un’aura di invincibilità grazie a una serie di notevoli risultati nel corso dei decenni. Tuttavia, l’assalto di Hamas ha messo in dubbio quella reputazione. Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha definito questo fallimento come “grave” e ha dichiarato che le capacità dell’intelligence a Gaza non sono state buone.

Nonostante le capacità dimostrate nel passato, Hamas è riuscita a mantenere nascosto il suo piano, e l’apparente mancanza di conoscenza preventiva del suo complotto sarà probabilmente vista come la principale causa dell’attacco più grave contro gli israeliani degli ultimi decenni.

Questo evento solleva importanti domande sulla preparazione e sulla capacità di risposta dell’intelligence israeliana, e sarà fondamentale imparare la lezione per il futuro.

Anche sulla Repubblica del 5 Gennaio 2024 si legge:

Un anno prima del 7 ottobre, l’intelligence militare israeliana disponeva di tutte le informazioni circa i piani di Hamas per un attacco senza precedenti. A rivelarlo, giovedì sera, il programma d’inchiesta giornalistica Uvda (“Il fatto”) condotto da Ilana Dayan su Canale 12. In un documento classificato presentato da Dayan erano descritti i dettagli che si sono poi concretizzati nell’assalto.

Nonché su quella del 27 Febbraio 2024

LONDRA – Nella notte fra il 6 e il 7 ottobre scorso, le agenzie di spionaggio di Israele rilevarono l’attivazione di un numero insolito di carte telefoniche Sim israeliane, più di mille, da parte di militanti di Hamas nella striscia di Gaza, fenomeno che poteva essere interpretato come il segnale che il gruppo jihadista palestinese stava preparando qualcosa.

  1. La narrazione dell’attacco di Hamas

I dubbi riportati più sopra, ignorati totalmente dalla stampa italiana e dai media televisivi in Italia, non possono che allargarsi a macchia d’olio anche sulla narrazione dei fatti e la loro completa veridicità.

Nella testata on line di Africa Express del 22 novembre 2023 appare un articolo, a firma di Alessandra Fava (alessandrafava2023@proton.me), che scrive così:

All’indomani del sanguinoso attacco ai kibutz israeliani a ridosso della Striscia di Gaza (da vedere la carta elaborata da Limes https://www.limesonline.com/carta-operazione-al-aq%e1%b9%a3a-hamas-gaza-palestina-israele/134391), era già emerso da dichiarazioni e interviste ai sopravvissuti, che non poche vittime erano state falciate dall’esercito israeliano intervenuto nel panico totale sul luogo e diverse ore dopo il blitz di Hamas.

Nelle dichiarazioni sui quotidiani e TV molti sostengono che si è trattato di un lutto collettivo e che molti hanno partecipato a diversi funerali di familiari e amici e conoscenti. Alcune vittime sono state riconosciute solo pochi giorni fa e qualche funerale è stato celebrato senza ritrovare i corpi, ma solo tracce di DNA che gli haredim, gli ebrei ortodossi, sono andati a recuperare al Rave party a ridosso di Gaza o nei kibbutz adiacenti. 

Il 18 novembre Haaretz ha pubblicato un articolo, ripreso con grande enfasi dai media occidentali e tradotto parola per parola da Al Jazeera, 

https://www.aljazeera.com/news/2023/11/18/hamas-had-not-planned-to-attack-israel-music-festival-israeli-report-says,

in cui in sostanza si dice che il rave non era un obiettivo di Hamas, che molti dei 4.400 partecipanti se n’erano già andati e che le vittime (364) sono state fatte anche dal contrattacco delle forze israeliane intervenute con carri armati ed elicotteri, facendo una strage.

In particolare ci sarebbero stati spari da un elicottero da combattimento. Il quotidiano israeliano Haaretz il 18 novembre scrive che “secondo apparati della sicurezza israeliana gli attentatori di Hamas del 7 ottobre non sapevano di Nova (il nome del rave party, ndr.) e solo al momento hanno deciso di farne un target, mentre erano diretti nei kibbutz di Re’im e quelli vicini”.

La conclusione arriva anche dagli interrogatori fatti ai terroristi arrestati. Quindi dalle “risultanze l’elicottero da combattimento intervenuto sul luogo e che sparando agli attentatori ha colpito anche i partecipanti al rave”.

Il Rave Nova per altro era stato pianificato per giovedì e venerdì e solo il martedì gli organizzatori avevano deciso di prolungarlo fino alla mattina dopo, quella in cui alle ore 6 è partito l’attacco degli attentatori. 

Già dopo il 7 ottobre, dalle dichiarazioni di alcuni sopravvissuti nei kibbutz e al rave era emerso che c’era stata una pioggia di fuoco e alle critiche sui media il governo aveva annunciato un’inchiesta che in effetti è in corso ma le cui risultanze saranno rese note a guerra finita o forse dopo l’eventuale caduta del governo Netanyahu. 

Chi ha fatto un’inchiesta approfondita, basata su immagini, video e documenti raccolti sul web, è Max Blumenthal, giornalista e blogger statunitense che a Gaza ha già dedicato ampie inchieste nelle guerre precedenti. La sua inchiesta è leggibile su thegreyzone.com  

(https://thegrayzone.com/2023/11/18/video-what-happened-october-7/).

Una parte è stata pubblicata il 27 ottobre, con il titolo, “7 ottobre: i testimoni rivelano che i militari israeliani hanno bombardato cittadini israeliani con carri armati e missili”. Sottotitolo “I militari israeliani hanno ricevuto l’ordine di bombardare le case israeliane e anche le loro postazioni mentre venivano attaccati dai militanti di Hamas il 7 ottobre. Quanti cittadini israeliani dicono di essere stati bruciati vivi mentre venivano in realtà attaccati da fuoco amico?”.   https://thegrayzone.com/2023/10/27/israels-military-shelled-burning-tanks-helicopters/.

L’interrogativo resta. Blumenthal basa i suoi dubbi sulle dichiarazioni di Tuval Escapa, coordinatore della sicurezza del kibbutz di Bee’ri e diversi altri sopravvissuti. In un commento del 20 ottobre, firmato Amos Harel su Haaretz, già si parlava delle debolezze militari che hanno permesso l’attacco di Hamas e dell’illusione del governo che l’organizzazione palestinese ormai fosse tenuta a bada per sempre.

Ancora il 20 ottobre Haaretz riferiva di dodici morti a Bee’ri deceduti a causa della controffensiva dell’IDF (Israel Defense Forces), che, per eliminare i terroristi, hanno ucciso anche gli abitanti. A Bee’ri risultano anche distrutte 350 case (fonte IDF citata da Haaretz domenica 19 novembre 2023) dei 1.200 abitanti (di cui 100 morti e 25 rapiti). 

La stessa cosa è successa al Rave, dove testimoni sopravvissuti, come Danielle Rachiel, dicono di essersi trovati in una pioggia di fuoco amico. Due intervistati dai giornali se la sono cavata stando ore sugli alberi, senza scendere neppure all’arrivo dei soldati israeliani. 

Dopo l’attacco i kibbutz sono mezzi distrutti come si vede anche dalle foto recuperate da Blumenthal e sono stati subito svuotati. Chi è ancora vivo è stato portato in strutture sul Mar Rosso ad Eilat dove viene assistito da psicologi. Anche Sderot e altri centri a ridosso della Striscia sono stati evacuati. Tra gli abitanti del Negev e quelli di altre aree a rischio (vicino alla frontiera col Libano ad esempio) si calcolano 250 mila israeliani evacuati dal governo

  1. Commento alla tesi della disattenzione

A questo punto la tesi della colpevole disattenzione e il mea culpa del Governo e dei servizi israeliani diventa poco sostenibile. Appare più come una exit strategy da utilizzare, non tanto per uscire dalla situazione imbarazzante in cui Israele si è trovato, quanto per un depistaggio rispetto alle reali intenzioni di Nethanjau (e il suo gabinetto di guerra) progettato fin dall’inizio e che così sintetizzo: creare un motivo in cui Israele si trovava in una aggressione violenta e feroce alla quale non poteva non reagire. A seguire l’evento del 7 ottobre è iniziata la strategia sulla quale poggiare l’azione militare a Gaza, poi in Cisgiordania ed infine a Rafah.

E’ la violenza delle azioni e la cruenza di quelli che non si possono certo definire effetti collaterali a definire sempre meglio l’obiettivo reale di Israele: occupare la Palestina e cacciare i palestinesi. Puntare il dito solo sulla follia di Netanyahu è gravissimo errore.

Sguarnire il posto di confine, vicinissimo al luogo del Rave, generando ad arte una parte della carneficina, cavalcare il pretesto dell’attacco di Hamas per dare luogo alla pulizia etnica a costo di perdere delle vite israeliane sicuramente ha visto la criminale sinergia di:

  • Gabinetto di Governo: Netanyahu, Gallant quale Ministro della Difesa, il Capo dello Stato Maggiore della Difesa generale Herzi Halevi, il Ministro per la Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, il Ministro per la Cultura Amichai Eliyahu (che aveva prospettato l’uso dell’atomica su Gaza!).
  • Mossad (Intelligence preposto a monitorare le operazioni all’estero): Direttore David Barrea (che ha sostituito Yossi Coen nel Giugno 2021).
  • Shin Bet (intelligence preposta alla sicurezza interna ad Israele e controllo dei territori palestinesi): Direttore Ronen, che ha assunto la guida del servizio d’intelligence nel 2021 (quasi in simultanea con Barrea). Da sottolineare che sia Ronen che Barrea hanno a servito l’esercito nell’Unità speciale Sayeret Matkal,
  • Una domanda lecita riguarda il luogo dove sarebbe avvenuto l’addestramento al pilotaggio del parapendio dei miliziani di Hamas e chi son stati gli istruttori.

Il Corso normalmente dura dai 3 ai 6 mesi per l’abilitazione al pilotaggio su parapendio a motore biposto e richiede una aviosuperficie idonea. Partendo dal presupposto che l’ultima cosa di cui aveva bisogno Gaza era un Aeroclub, come è possibile che i Servizi Israeliani non abbaiano individuato questa attività sicuramente sospetta?

  1. Prima questione: Perchè i media italiani ignorano tutto questo?

E’ una domanda più che lecita che richiede una risposta visto che a farsela sono tanti. Uno degli aspetti più deteriori della geopolitica moderna è l’approccio ideologico alla lettura degli eventi, fino al punto di negare la stessa realtà dei fatti. Quando, però i fatti non possono essere negati essi intraprendono due strade. La prima è quella della negazione (ai limiti della psicopatologia), la seconda dell’oscuramento.

L’incipit ideologico, ad esempio del nostro governo, che già dalla primissima reazione militare di Israele su Gaza, quando Netanyahu era impegnato insieme ai suoi portavoce a ad alzare gli schermi giustificativi di quello che stava accadendo sulla popolazione civile di Gaza (eravamo solo intorno alle 10000 vittime di cui tantissimi bambini), il nostro governo si è affrettato subito a dichiarare pubblicamente: siamo dalla parte di Israele. Fine della trasmissione!

Hanno riflettuto sulle conseguenze di questa alleanza ideologica?  Vien logicamente da pensare allora che l’azione militare di Israele ancora più dura e feroce sia il risultato dell’approvazione dell’Italia, di altri paesi europei e degli USA in primis. L’aver dato di fatto mano libera alla “rappresaglia Israeliana, (perché di questo si tratta) non solo a procedere, ma ad intensificare l’azione militare ignorando le conseguenze e il dissenso internazionale (oggi più che mai elevato in quanto Israele appare isolato dai governi e oggetto di molte azioni anti-sioniste, falsamente tacciate di antisemitismo). Addirittura osserviamo l’atteggiamento sprezzante nei confronti di alti Organismi Internazionali al di sopra di ogni sospetto riguardo l’accusa di faziosità, come ad esempio l’ONU con il suo Segretario Generale (tacciato di essere pro Hamas) e alcune benemerite agenzie. Per non parlare della reazione forte di alcuni paesi verso Israele come il Sudafrica, che hanno portato il Governo di Israele davanti al Tribunale Internazionale dell’Aia, mentre altri paesi che hanno ritirato gli Ambasciatori.

Le posizioni prese dai Paesi Europei, tra cui il nostro, non possono essere considerate con troppo leggerezza. Se è vero che Israele si sta macchiando di crimini orrendi, 30 volte maggiori di quello di Hamas il 7 ottobre, chi sta ad osservare traccheggiando per non so quali interessi, non ha le mani macchiate di meno. Le dichiarazioni di richiesta di moderazione suonano falso e ipocrita lontano chilometri, nonchè sono manifestazione di una forte miopia geopolitica.

Ecco allora la risposta alla domanda al titolo del paragrafo. La diversa lettura dei fatti dipende da quello che alberga nei cuori degli attori posizionati collateralmente agli scenari. Per iniziare giornalisti chiaramente filoisraeliani, (o anti Arabi) che impregnano i loro reportage di tante e tali giustificazioni (pregiudiziali e ideologicamente giustificative) che, alla fine e di fatto, si rendono complici dei massacri israeliani. Ma sappiamo bene come funziona la coscienza dell’uomo in questi tempi!

Ci sono poi giornalisti che definisco “equilibristi”. Essi alternano le loro dichiarazioni secondo come tira il vento per non scontentare nessuno (o per non esporsi troppo!). Ci sono poi i “pusillanimi”! Questi giornalisti sanno bene come sono andate (o stanno andando) le cose, ma sono intimiditi per la paura di ritorsioni o essere accusati di antisemitismo. In un altro paragrafo tratterò la questione losca del gioco semantico di antisemitismo e antisionismo.

  1. Considerazioni sul comportamento dei militari nei conflitti in corso.

Ho servito il mio Paese, L’Italia, per venti anni fino ad arrivare al grado di Tenente Colonnello dell’Aeronautica militare, per poi andare in pensione. Sono figlio di un Sottufficiale Motorista dell’Aeronautica che aveva fatto tutta l’ultima guerra. A 17 anni era il motorista di bordo di un bombardiere S79 il Gobbo maledetto). Un infarto ce lo ha portato via a 53 anni, era ancora in servizio. Mio fratello, più giovane di me, anche lui sottufficiale dell’Aeronautica. Quando è andato in pensione aveva 45 anni di servizio. Anche lui ci ha lasciati prematuramente a 66 anni appena compiuti. Sulla lapide abbiamo voluto una foto con lui con il giubbetto di volo e lo sguardo verso il cielo, quel cielo che abbiamo tanto amato.

Una famiglia di militari insomma. Dico questo non per piaggeria o per autocelebrazione ma solo per dire che quanto scriverò viene da una forte esperienza di vita che mi ha segnato profondamente. Fin dai primi passi da ufficiale i miei Comandanti, e ne sono passati tanti, mi hanno formato innanzitutto all’onore, all’amore per la patria, ad essere disponibile anche a perdere la vita per i miei commilitoni e per il mio Paese.

L’onore a cui faccio riferimento non è la retorica di un qualsivoglia regime, ma è quella virtù che è fondata sulla correttezza, sulla verità, sullo spirito di sacrificio e, alla fine, sul rispetto anche per il nemico. Nel tempo della mia carriera il nostro Paese non si è mai trovato in condizioni di belligeranza o co-belligeranza e ringrazio il Signore per questo. Ma anche se questo fosse accaduto, il criterio dell’onore fondativo non avrebbe cambiato il mio essere.  Il valore condiviso con i miei colleghi, tutti figli del primo dopoguerra, attingeva all’orrore documentato nell’ultimo conflitto in cui lo spartiacque tra il combattimento e la strage (o genocidio) è stato veramente flebile. Nessuna delle parti in conflitto può ritenersi innocente davanti a tanta tragedia storica.

Per questo motivo, detto in sintesi, i nostri Comandanti ci hanno educato ad amare la pace ed essere pronti alla guerra.

Ora che vivo una triplice identità, ex militare, psicoterapeuta, diacono permanente, mi trovo storicamente a 74 anni ad essere coinvolto dal susseguirsi, da immani tragedie in più parti del mondo. Le guerre civili in africa, dove la coscienza umana sembra essere definitivamente archiviata.  Gli orrori si ripetono in continuazione. Ma oggi gli scenari sono cambiati. I conflitti sono in Europa, alle porte di casa. E’ impossibile ignorarli! Due in particolare Russia-Ucraina e Israele–Hamas (ormai allargato all’intera Palestina).

Vedere persone in divisa compiere gesti di tale efferatezza e violenza senza che appaia il minimo moto di coscienza e di auto riprovazione fa rabbrividire. Anzi sembra addirittura rafforzarsi la convinzione che torturare, violentare e compiere stragi sia parte della missione del soldato che ha il dovere di eliminare tutti quelli che, aldilà del sesso, dell’età, hanno solo la colpa di appartenere al nemico di ieri, di oggi e di domani (i bambini).

Da militare grido ai soldati di oggi, che appartengano all’esercito russo, ucraino, israeliano: Vergognatevi! Vergognatevi! Ve lo dice un soldato! Vergognatevi!

Il combattimento, quello vero, porta in sè un codice d’onore che voi avete ampiamente disatteso coprendovi di infamia! Non vi riconosco! Non avete nulla che vi possa elevare su altre forme di efferatezze perpetrate anche da chi non porta una divisa. L’attacco di Hamas del 7 ottobre è esemplificativo per tutti. Se di barbarie si parla, giustamente, per i paramilitari di Hamas, quale attestazione di civiltà può sbandierare Israele che ha moltiplicato per 30 i morti civili in Palestina senza parlare della distruzione anche di ospedali. Nel codice di guerra che appartiene alla mia esperienza militare, era bandita la parola rappresaglia che è facilmente riconoscibile in un torbido passato e usata da un criminale regime che ben ricordiamo: il nazismo. Nella storia italiana la legge di guerra nazista era 1 a 10. Addirittura Prieblke, esecutore della rappresaglia delle Fosse Ardeatine, fu condannato dal Tribunale Militare di Roma non per i 300 rastrellati e giustiziati barbaramente, bensì per averne aggiunti arbitrariamente altri trenta. E’ questa aggiunta gli costò l’accusa di crudeltà e la detenzione a vita.

Che lo si voglia o non riconoscere, quello che sta accadendo a Gaza è il risultato di una vera e propria rappresaglia. una reazione feroce e irrazionale. Una via senza uscita soprattutto per Israele anche per parere di analisti e politici al di sopra di ogni sospetto. Infatti facendo un rapido conto, se lo sterminio di Hamas si è attestato a 1000 israeliani circa, la ritorsione israeliana ha raggiunto il rapporto di 1 a 30, e sembra dover ancora aumentare.

Mi fermo qui. Queste poche righe non avevano lo scopo di fare una analisi geopolitica sulla situazione in medio oriente. Ci sono tanti analisti più bravi e preparati di me. Mi fermo solo sulla riflessione che faccio tra me e me e che offro a tutti coloro i quali sono coinvolti  nel conflitto in divisa, ma anche a quelli che si schierano da una parte o dall’altra, approvando con troppa disinvoltura le ragioni insite nelle narrazioni. Essi diventano parte, seppur passiva, del grande e torbido scenario a cui danno adesione o disapprovazione. Ancora di più chi porta una divisa, sia in tempo di pace che in tempo di guerra., Portare una divisa è un impegno ad essere eticamente più in alto a ciò che avviene, ad agire con maturità, equilibrio, prudenza, in modo da rappresentare le civilmente le ragioni e le istanze e il diritto alla pace e alla vera difesa della propria comunità.

  1. Le torbide acrobazie semantiche: antisemitismo e antisionismo

Questo punto è particolarmente delicato. Come tutti ben sappiamo i conflitti di ogni tipo da quelli interpersonali, fino a quelli di portata geopolitica contano molto sugli effetti della guerra delle parole e dei loro significati coretti o distorti che siano. Le parole costano poco e possono dare ottimi risultati in ordine allo spostamento delle ondate opinionistiche a favore o contro alcuni eventi anche di grande portata planetaria. Vi sono team di grandi esperti capaci di trasformare alcuni messaggi costruiti a tavolino in algoritmi predittivi dal risultato verificabile. Che si parli di elezioni politiche in grado di cambiare il corso storico di un paese oppure, come nel nostro caso, muovere le opinioni di intere nazioni a favore o contro una guerra oggettivamente senza senso o dagli effetti devastanti, oppure ancora di isolare le coscienze offrendo ai singoli e alle comunità scudi falsamente etici che rappresentano una eccellente exit strategy dalle responsabilità individuali e collettive di fronte a eventi a fronte a dilemmi etici.

I termini su cui focalizzerò la mia attenzione e quella del lettore sono: antisemitismo e antisionismo.

Nel linguaggio politico e giornalistico questi due termini vengono usati come sinonimi per definire una qualsivoglia ostilità nei confronti degli ebrei in quanto espressione religiosa. La memoria storica della shoah ci riporta a giustificare l’uso improprio e scorretto dei due termini. Innanzitutto richiamando il momento storico in cui la nefasta ideologia nazista aveva dato vita a quelle operazioni atroci che avrebbero portato ad un tentativo fortunatamente e parzialmente riuscito, di eliminazione di un intero popolo. In quel tempo la parola sionismo era senza senso essendo il popolo ebraico ancora in piena diaspora. Ergo non vi era motivi di equivocare.

Ma nei tempi attuali il progetto sionista che ha portato, dal 1948 in poi, Israele a diventare una nazione a tutti gli effetti, una entità prima politico-geografica e poi religiosa, diventa indispensabile l’uso corretto dei due termini a seconda del contesto in cui si vogliono applicare. L’antisionismo nasce da una visione in disaccordo con la politica di Israele, mentre l’antisemitismo tende a colpire gli ebrei in quanto entità religiosa.

La guerra delle parole e l’uso della comunicazione nell’attuale conflitto Israele-Hamas (Palestina) utilizza in maniera unificata i due termini includendo ogni moto di dissenso o di critica a Israele sotto la voce antisionismo. A mio avviso non si tratta di una superficiale e frettolosa analisi dell’origine di eventi che sono sotto gli occhi di tutti, bensì di un malizioso uso di una distorsione semantica in grado di colpire un grande bacino connotato da profonda ignoranza e permeabile all’ideologia.

In un mio saggio descrissi questa modalità veloce e superficiale di descrivere e giudicare gli eventi per poi prendere una posizione: pensiero minimo.

“Il pensiero minimo, quello fatto di pochi spot, si era impossessato non dell’uomo della strada ma di colui o coloro i quali detengono le leve del potere. Qui non si tratta di stupidità ma di un’ideologia delirante capace di impossessarsi anche delle intelligenze elevate per farle poi tradurre in comportamenti barbari. Ecco la novità di questo Terzo Millennio, l’uomo contemporaneamente capace sia di intelligenza elevata che di indicibili barbarie nei comportamenti.[2]

Se ciò che affermo è vero per le grandi masse, lo è ugualmente anche per chi le muove e sa perfettamente come usarle.

E’ venuto, a questo punto, il momento di entrare direttamente nella questione. Poiché è escluso l’errore involontario e solo grammaticale, non rimane che prendere in esame l’ipotesi della malizia.

Che questa confusione artificiosa sia ad opera di Israele è comprensibile essendo parte attiva nel conflitto, ma che trovi sponda in un intero corpo politico e giornalistico occidentale non può passare inosservato e meritevole di un approfondimento. L’approfondimento prende il suo avvio da due domande: perché si usa questa sinonimia e quale è la sua finalità. Dalla risposta a queste due domande dipenderà l’ultimo quesito: dove sta portando questa operazione, quanto meno, torbida.

Vediamo l’evoluzione della storia recente e il cambiamento verso lo Stato di Israele negli stati Occidentali a partire dai cruenti fatti del 7 ottobre scorso. Senza voler entrare in tutta la vicenda storica degli ultimi cinquant’anni delle relazioni tra Israele e la Palestina che ci porterebbe lontano, fermiamoci ad una analisi fattuale utile per quanto stiamo prendendo in esame.

  1. Excursus analitico: i fatti del 7 ottobre

L’attacco di Hamas è durato circa un’ora ed è stato di una inaudita violenza. Documentato in maniera puntuale da molte body cam e cellulari, ha scosso fin dalle prime ore la coscienza di tutto il mondo occidentale che non ha tardato a prendere posizione contro gli autori dell’eccidio.

  • Operazione “Spade di Ferro”

Netanyahu riunisce il Consiglio dei Ministri e in brevissimo tempo riceve il via libera per una reazione la cui denominazione non lascia dubbi sulla severità della risposta israeliana. Il mondo occidentale comprende lo stato d’animo degli israeliani esprimendosi favore con una certa simpatia. In questa prima fase la guerra delle parole è inutile in quanto sono i fatti parlare e non c’è bisogno di fare dei distinguo (anti sionismo, antisemitismo).

  • Prime fasi dell’Operazione militare a Gaza City

L’IDF opera con un intenso bombardamento di missili verso il Centro di Gaza City invocando il diritto all’autodifesa e viene supportato da molti stati Occidentali tra cui l’Italia, visto che lo scopo dichiarato era di distruggere Hamas.

Il numero delle vittime civili cominciano a salire vertiginosamente. Sono documentate da osservatori al di sopra di ogni sospetto, Ong di varia natura presenti sul campo, MSF, personale delle Nazioni Unite con le loro Agenzie, ecc. Si apre a questo punto una crepa nell’animo delle persone, compresi coloro i quali all’inizio si erano schierati più o meno timidamente dalla parte di Israele. Cosicchè la narrazione del 7 ottobre viene progressivamente messa in ombra dalla cronaca giornaliera dei morti civili a Gaza. Cronaca dei media di tutto il mondo sicuramente non di parte.

  • L’operazione militare su Gaza City aumenta di intensità e di violenza.

La Comunità Internazionale   inizia una pressante azione diplomatica affinchè Israele limiti le vittime civili. Invito rimandato al mittente, chiunque esso sia, mettendo al primo posto il raggiungimento degli obiettivi militari. In questi ultimi tempi su Gaza e Cisgiordania sono state usate bombe da 1000 libre (550kg di tritolo) in grado di polverizzare quattro condomini in un istante con tutti i loro abitanti.

Oltre il numero di morti che ad oggi ha superato ampiamenti le 33000 unità, si aggiunge una grave sofferenza umanitaria dei superstiti stimati a quasi due milioni e mezzo. Questi numeri sono forniti dall’ONU e alle Agenzie ad essa collegate.

Anche su questo Israele è sordo e ignora il richiamo dei paesi che inizialmente avevano compreso le sue istanze. Si comincia ad evidenziare una scissione tra le dichiarazioni ufficiali di alcuni governi e il malessere crescente delle comunità nazionali che cominciano a dissentire fortemente e pubblicamente sulla strategia messa in atto da Israele.

Il dissenso si fa sempre più forte da parte della gente e di alcuni Stati che inoltre manifestano le loro critiche anche nell’Assemblea dell’ONU, sostenute dal Segretario Generale Gutierrez, fortemente e violentemente criticato dall’Ambasciatore israeliano all’ONU, Gilad Erdan. A questo punto la critica, inevitabilmente, si trasforma in antipatia. Antipatia sempre e soltanto rivolta a Netanyahu e al suo Governo di cui non riconoscono più gli obiettivi.

  • Inizia il contrattacco mediatico di Israele

Al 7 novembre 2023, esattamente un mese dopo l’attacco di Hamas la reazione militare Israeliana aveva fatto circa 10.000 morti civili in maggioranza donne e bambini. In questo mese Israele ancora riceveva l’appoggio incondizionato di molte cancellerie in primis quella Usa. Ma con la stessa veemenza anche quella Italiana non si è fatta attendere. Il “siamo dalla parte di Israele” è stato più volte pubblicamente affermato. L’opinione pubblica era ancora in equilibrio anche se qualche cedimento sul piano del “si però”, cominciava ad intravvedersi.

Al gennaio 2024, il totale dei morti è praticamente raddoppiato, circa 20.000 in linea con l’inasprimento dei bombardamenti nell’area cittadina di Gaza devastata al 50% dagli intensi bombardamenti. A questo punto Israele si trova a dover fronteggiare il disappunto del suo più grande alleato e di alcune cancellerie, nonché del Segretario Generale dell’ONU e a difendersi dall’accusa di genocidio.

L’irritazione è palese e la sordità di Israele non fa altro che inasprire le posizioni.  I governi alleati cominciano un’altalena di inviti alla moderazione, dal sapore chiaramente politico-diplomatico mirato a non scontentare nessuno.

Ma soprattutto il loro fine chiaro era di non entrare in collisione con Israele e la sua politica. Chi lo ha fatto con maggiore determinazione si è trovato a doversi difendere dall’accusa di essere dalla parte di Hamas. In primo luogo il Segretario Generale dell’ONU. Il moltiplicarsi delle voci di dissenso spingono Netanyahu, sostenuto dal suo gabinetto di Guerra, dal suo ambasciatore all’ONU, Gilad Erdan, e da alcuni paesi occidentali, a giocare la carta dell’accusa di antisemitismo, catturando così una parte della società civile Israeliana, quella meno comprensibile dell’intelighenzia Europea formata da ebrei e non e da una certa stampa locale (almeno in Italia).

Da quel momento il linguaggio è completamente cambiato! Ogni voce di dissenso o di critica verso Israele e da qualunque parte venga viene subito stigmatizzata con l’accusa di antisemitismo, grazie anche alla sponda offerta da alcuni governi occidentali, primo fra tutti quello Italiano.

  • Inasprimento ed allargamento del conflitto in Cisgiordania e Sud del Libano

Arriva il monito delle Nazioni Unite che diffidano con fermezza Israele a continuare il suo attacco, ma soprattutto a continuare ad opporsi ad ogni tregua umanitaria, e meno che mai ad un cessate il fuoco.

Il risultato è che Gaza viene distrutta per il 70% e l’attacco di terra non risparmia niente e nessuno: nè ospedali, nè centri di aggregazione sociale, nè centri di assistenza internazionale, nè civili abitazioni.  Israele è fermo nei suoi propositi di volere annientare Hamas, facendo quello che nessun contadino farebbe mai: passare con una ruspa per liberare l’orto da un termitaio! Forse ci sarà un qualche risultato, ma a quale costo umano?

Siamo arrivati al punto in cui diventa difficile non porsi la domanda di quali siano le vere intenzioni di Israele. Una grande parte dell’opinione pubblica comincia a attesta sulla feroce rappresaglia, mentre una parte degli analisti esperti di geopolitica del Medio Oriente si oriente sul un progetto sionista di ampliamento territoriale in cui Gaza ne fa le spese, ma non sembra essere la sola.

La Cisgiordania è stata presa nel mirino negli ultimi due mesi, al fine di attuare un piano di una caccia all’uomo (Hamas) senza quartiere. I risultati sono gli stessi, e neanche Ramallah viene risparmiata (anc he se con incursioni dell’IDF meno distruttive.

Gli scontri con il Libano non fanno parte direttamente della questione territoriale tra Israele-Hamas, ma solo per il suo schieramento a favore di Gaza.

Giunti ai giorni nostri le vittime civili sono arrivate a circa 33.200 e la comunità internazionale ha chiaramente isolato Israele ad eccezione degli USA, e qualche Paese Europeo. Alcuni Paesi schierati anche militarmente e altri tra cui l’Italia attraverso varie forme di equilibrismi diplomatici.

  • Inizia il palesarsi di una forte ostilità internazionale verso la politica Israeliana.

In varie città del mondo vengono organizzate manifestazioni a favore della Palestina e contro la modalità dell’intervento armato Israeliano. In chiara collisione con le posizioni governative di ogni singolo paese vengono esse viste in patria come un problema diplomatico da gestire e in Israele come una pericolosa recrudescenza antisemita.

Il termine che ho usato non è preso a caso. In tutti le cronache dei media occidentali l’interpretazione che ne viene data è: l’antisemitismo sta dilagando! Il battage sull’antisemitismo coinvolge molti giornalisti, politici. uomini di cultura, i quali manifestano il loro essere concordi con questa visione.

La sponda offerta alla propaganda Israeliana ha ottenuto di rinforzare la tesi che quanto sta facendo Israele a Gaza alla fine è giustificato e chi si oppone è un antisemita. Tuttavia non raggiunge il suo obiettivo. Chiediamoci il perché.

La risposta più immediata banale e che in essa si cela una crassa manifestazione di ignoranza, in primo luogo semantica, poi politica e quindi religiosa. Si aggiunge poi la profonda irritazione di chi si vede tacciato di questa infamante accusa solo perché non concorda con il comportamento israeliano e con le sue strategie espansionistiche.

Più si va avanti in questa direzione e più si vede aumentare l’ostilità della gente comune verso Israele in quanto entità statuale e che non ha alcuna relazione con l’identità religiosa.

Tuttavia è pericoloso non tenere conto delle derive psicologiche di questa irritazione. Lo abbiamo visto nella storia con i movimenti di massa capaci di aderire anche alle più nefaste ideologie nel momento in cui qualcuno, muovendole giuste leve emotive, fa dei pericolosi accostamenti. Il nazismo ha giocato proprio questa carta (fondata sul pensiero minimo: “tutta la colpa è degli ebrei!”) per attirare e le masse dalla propria parte e per i propri orribili obiettivi.

In questo momento non appare la benché minima prova che tutte le manifestazioni pro Palestina siano fondate sull’antisemitismo, ma certamente si riconosce con chiarezza una visione antisionista. In tutto questo la libertà di espressione e elle proprie idee credo sia più che lecita.

Tant’è vero che le stesse manifestazioni ci sono anche in Israele. In questo momento in cui scrivo a Tel Aviv ogni giorno migliaia di persone si incontrano in piazza per manifestare contro il Governo e la sua politica. A nessuno verrebbe mai in   mente di definire la protesta come anti semita.

Tutto ciò che sto dicendo vuole anche essere un campanello di allarme sull’effetto boomerang di certi comportamenti estremisti ed irrazionali che più vengono enfatizzati senza sostegno logico, ma solo ideologico, e più rischiano di ritorcersi pericolosamente contro. Questo è ciò che a mio modesto parere sta avvenendo.

  • I boicottaggi commerciali e culturali verso Israele

Uno dei risvolti di questa ostinazione è come si vede l’aumento dell’ostilità nei confronti di Israele, nonostante la difesa dei Governi, da parte della gente comune che ancora possiede il lume della ragione e difende la propria libertà intellettuale. In divaricazione con le posizioni dei singoli governi sta prendendo decisamente le distanze da un Paese che fino ad oggi poteva godere della simpatia di una grande parte del mondo occidentale.

Intelligenza e libertà sono i principali deterrenti dei tentativi ideologici di guidare le coscienze anche a costo di utilizzare menzogne o mezze verità.

La protesta più evidente e massiccia viene dagli atenei italiani ed europei. Un movimento crescente che non si vedeva dal 1968, quando gli americani in Vietnam perpetravano le peggiori atrocità. Nel ‘68 io ero tra quelli che manifestavano contro la guerra e la polizia, con il consenso del Governo filoamericano caricava brutalmente gli studenti difendendo la logica USA e definendoli teppisti o fanatici anarchici.

Molti anni dopo furono gli stessi americani a definire l’avventura vietnamita un fiasco colossale con un effetto rebound micidiale sia sul paese asiatico che sull’America stessa. Migliaia di morti, migliaia di reduci (o veterani) tornati in patria ammalati psichiatrici, tossicomani e alcolisti.

Gli studenti di allora non erano violenti e non lo sono neanche quelli degli atenei italiani di oggi. Essi giustamente vogliono esprimere il loro dissenso totale di fronte ad una verità inconfutabile: Israele sta conducendo un genocidio in nome di un progetto sionista senza freni.

La risposta dei Rettori, Docenti, degli uomini di cultura e della politica è stata che nelle Università non si fa politica e non si fa discriminazione sulle cooperazioni. Come non si fa a non intravedere in questa posizione una logica economicista e manipolatoria?

A questo punto non posso esimermi dal portare all’attenzione dei lettori un dato storico di cui si parla poco, forse è perchè prevale la vergogna di quelli che allora si dichiararono lontani dall’ideologia nazista.

Il famigerato dottor Josef Mengele il medico di Auschwitz (l’angelo della morte) che condusse esperimenti disumani su migliaia di esseri umani usati come cavie, insensibile al dolore che provocava in nome di una mostruosa e diabolica ricerca scientifica, con tutta probabilità aveva contatti con il mondo scientifico suprematista ed eugenetista americano con cui verosimilmente condivideva i suoi progetti e le sue ricerche.

Infatti non tutti sanno che l’ideologia Eugenetica che animava Mengele e altri, non è nata in Germania, ma negli Stati Uniti. Prima che Hitler salisse al potere, gli eugenetisti americani avevano già sviluppato teorie razziste e pseudoscientifiche. In particolare, la California giocò un ruolo significativo nel movimento eugenetista americano.  Ecco alcuni punti chiave riportati da A. Pizzuti in  Eugenetica. Conoscere la storia per non ripetere gli errori, www.fivehundredwords.it

  1. Eugenetica in California:
  • Nel 1909, la California divenne il terzo stato a promulgare leggi sulla sterilizzazione forzata e sulla segregazione basate su criteri eugenetici. Queste leggi miravano a “pulire” la società da individui considerati “non idonei”.
  • Prima della Seconda Guerra Mondiale, quasi la metà delle sterilizzazioni coercitive negli Stati Uniti furono eseguite in California.
  • L’idea di una “razza nordica” superiore, con caratteristiche bianche, capelli biondi e occhi azzurri, fu coltivata in California.
  1. Finanziamento eugenetico:
  • Le fondazioni filantropiche come la Carnegie Institution, la Rockefeller Foundatione la fortuna della famiglia Harriman finanziarono ampiamente la ricerca eugenetica negli Stati Uniti e non solo. Le basi della eugenetica Hitleriana furono prese interamente da idee nate in America. In effetti, il concetto della razza superiore nordica nacque e si sviluppò negli Stati Uniti decadi prima di Hitler. Il Rettore della prestigiosa Università di Stanford, David Starr Jordan dichiarava nel 1902 che le condizioni umane come talento e povertà venivano trasmesse con il sangue. La Rockefeller Foundation finanziò gli studi eugenetici di Josef Mengele prima dell’arrivo ad Auschwitz. Il movimento eugenetico americano voleva eliminare dalla società Neri, Asiatici, Indiani, Ispanici, Ebrei, poveri e malati considerati geneticamente anomali. Nel famosissimo processo Carrie Buck vs. James Hendren Bell, del 1927, nel quale una donna con ritardo mentale, violentata nell’istituto dove era trattata fece causa all’istituzione, il giudice della corte suprema, Oliver Wendell Holmes scrisse nella sentenza di assoluzione: “E ‘meglio per tutto il mondo, se, invece di attendere che figli degeneri e criminali vengano giustiziati o lasciati morire di fame per la loro imbecillità, la società eviti che coloro che sono manifestamente inadatti, continuino a procreare..”.
  • Rispettati Accademici provenienti da università prestigiose come Stanford, Yale, Harvard e Princeton sostennero teorie razziali e manipolarono dati per servire gli obiettivi razzisti dell’eugenetica.
  1. Josef Mengele: con i suoi due dottorati in antropologia e medicina genetica, fece parte ancora prima di Auscwitz di questo abominevole consesso accademico internazionale da cui ebbe molti consensi. In seguito lavorò con la Sezione Genealogica dell’Ufficio SS per la Razza e la Riorganizzazione nel 1941, selezionando individui per esperimenti o morte.

Sulla base di quanto ho appena detto, mi permetto ora una riflessione sul ruolo degli atenei con i loro tre attori principali: gli Studenti, il Corpo Accademico e il Rettore con il suo Senato Accademico.

Mi sento di dire con forza che l’Università in primis è degli studenti, sono loro il focus della sua esistenza per la formazione degli studiosi del futuro. IL Corpo Accademico deve essere al servizio degli studenti e non viceversa. Deve offrire loro con serietà, competenza e preparazione i contenuti del sapere secondo le varie discipline e non decidere l’ambito applicativo nel presente e nel futuro affinché si leghi molto più alle inclinazioni e ai progetti dei singoli che agli orientamenti politico-economici dello stato. Pertanto gli studenti come entità pensante non vogliono mettere in dubbio il konw how a loro offerto, ma si sentono, e sono titolati, a mettere un punto di domanda sul valore etico di ricerche in cui loro malgrado vengono coinvolti. Tacciare il movimento universitario di antisemitismo è ancora una volta una infantile difesa dell’indifendibile.

Certamente è un esempio limite ma emblematico di ciò che, o può succedere o sta già succedendo nascosto nelle maglie della politica losca protetta da strategie capaci di camuffare le reali intenzioni di dare vita joint venture commerciali e scientifiche dai discutibili risvolti etici.

In altre parole e in definitiva gli Atenei si devono, a mio avviso, preoccupare di istruire e formare i giovani nelle discipline da loro scelte per farne degli intellettuali competenti e maturi; se a questa mission si aggiunge una finalità operativa scelte dai governi, il tutto comincia  rientrare in un criterio di regime che innanzitutto lede la libertà individuale e la coscienza personale di aderire o meno a finalità calate dall’alto. Che voce hanno gli studenti laddove non ravvedano la necessità o addirittura la non eticità di progetti decisi da un entourage accademico soggiogato dal potere politico-economico corrente?

Quindi il principio che nell’Università si fa cultura e non politica, avanzato dagli oppositori del movimento degli studenti, viene alla fine leso proprio da coloro che lo propugnano.

9. Conclusioni

a. Il Cavallo di Troia

L’episodio del Cavallo di Troia è forse il più conosciuto degli inganni. Il cavallo di legno, costruito da Epeo, è una macchina da guerra, pensata e realizzata per espugnare la città di Troia, uno stratagemma per uscire dallo stallo di dieci anni di assedio. Un enorme cavallo lasciato davanti alla città forse per propiziare gli Dei… ma nel cui interno si nascondono uomini forti, soldati pronti all’attacco. Il racconto dell’episodio non è neppure citato nell’Iliade, che pure racconta proprio della guerra di Troia.

Sarà pure fanta-geopolitica, ma viene da pensare che la strategia Israeliana, dopo che i Servizi erano venuti venuti a conoscenza delle intenzioni Hamas (anche per l’avviso  dell’intelligence egiziana) avessero lasciato deliberatamente le porte aperte per tessere una sorta trappola ai miliziani di Hamas.  Forse però non si aspettavano una tale modalità di attacco e il numero delle vittime. Tuttavia anche questo ultimo risvolto si potrebbe essere prestato a consentire al Governo Netanyahu per  dare la zampata finale a qualunque velleità di chi ancora propugna la soluzione dei due popoli e due stati, rifiutata a priori. Fanta-geopolitica, pura fanta-geopolitica!

b.  Israele e la Torah: sacrilegio della Parola di Dio

In questo ultimo paragrafo ciò che è riportato dell’Antico Testamento è senza commento, per  lasciare al lettore trarre le proprie conclusioni.

Dal libro dell’Esodo, 20,21-24

21Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel Paese d’Egitto.  

22 Non affliggerete la vedova, né l’orfano. 

23 Se in qualche modo li affliggi, ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido;

24 la mia ira si accenderà, io vi ucciderò con la spada, le vostre mogli saranno vedove e i   vostri figli orfani.

 

Bibliografia: M.E. Luparia, Quale uomo?,  Lateran University Press, Città del Vaticano 2014